A seguito di "Che cosa succede in Vaticano"
I frutti del
Concilio Vaticano II
di Roberto de Mattei
su Settimo Cielo del 11-06-2012
Il mio articolo “Che cosa succede in Vaticano” pubblicato on line su “Corrispondenza Romana” ha suscitato calorose adesioni ma anche, come è logico, aspri dissensi.
In
quell’articolo sostenevo che la lotta per il potere in corso entro le
mura leonine ha le sue radici anche in un certo spirito mondano che ha
penetrato la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Precisavo
che non bisogna confondere tra gli uomini di Chiesa, con le loro
fragilità intellettuali e morali radicate nei tempi in cui vivono, e la
Chiesa in sé, sempre pura e senza macchia di peccato o di errori.
Le obiezioni che mi sono state rivolte si riducono a due argomenti cui cercherò brevemente di rispondere.
Il
primo argomento dice che nella sua storia bimillenaria la Chiesa ha
spesso conosciuto momenti di difficoltà e di crisi che certamente non
possono essere ricondotti al Concilio Vaticano II. Basti ricordare, ad
esempio, la decadenza di costumi dei papi rinascimentali.
È
facile ribattere però che anche quella decadenza morale aveva radici
intellettuali, ben analizzate da Ludwig von Pastor nel primo volume
della sua monumentale storia dei papi. Molti pontefici di quest’epoca
voltarono le spalle alla integrale riforma della Chiesa a cui li
sollecitavano santi come Bernardino da Siena e Antonino da Firenze, per
abbracciare gli equivoci princìpi dell’umanesimo.
La
prima “svolta antropologica” fu quella di Erasmo da Rotterdam e dei
suoi seguaci e antecessori che, attraverso le armi della filologia,
vollero liquidare il culto dei santi e delle reliquie, le indulgenze,
l’ascesi monastica, le devozioni e le antiche tradizioni in genere,
teorizzando l’introduzione del volgare nei libri e nelle cerimonie
sacre.
L’opera
omnia di Erasmo fu condannata dal nascente Sant’Uffizio, ma era già
troppo tardi: Lutero facendo proprie le stesse critiche degli umanisti,
aveva capovolto il loro antropocentrismo in un primato della
Scrittura, che però faceva completamente a meno della istituzione della
Chiesa.
Ciò
che è importante sottolineare è che quando nella storia della Chiesa
ci si trova di fronte ad una crisi morale, in qualsiasi epoca accada,
bisogna sempre risalire alla crisi intellettuale che la accompagna o la
precede.
In
questo senso non si possono ignorare le conseguenze di quella vera e
propria rivoluzione nel modo di essere della Chiesa che fu il Concilio
Vaticano II, inteso come evento più che come magistero.
Qui
si pone la seconda obiezione, secondo cui le cause della crisi attuale
della Chiesa, che io farei indebitamente risalire al Vaticano II,
vanno invece attribuite ad una falsa ed abusiva interpretazione di
questo avvenimento e dei suoi documenti.
Ma
la prima regola ermeneutica è quella che ci dà Nostro Signore stesso
nel Vangelo, quando dice che l’albero sarà riconosciuto dai frutti (Mt
7, 17-20). Oggi i monasteri sono abbandonati, le vocazioni religiose
crollano, la frequenza alla messa e ai sacramenti è caduta a picco; le
librerie, le case editrici, i giornali e le università cattoliche
diffondono errori a piene mani; il catechismo ortodosso non è più
insegnato; i parroci e persino i vescovi si ribellano al Santo Padre; i
fedeli cattolici di tutto il mondo sono immersi nella confusione
religiosa e morale e lo stesso Benedetto XVI durante l’omelia di
Pentecoste ha parlato della “Babele” in cui viviamo.
Se
tutto questo non ha la sua causa in un certo “spirito del Concilio”,
che ha pervaso la Chiesa cattolica negli ultimi cinquant’anni, da dove
trae la sua origine?
E
se questi sono i cattivi frutti non del Concilio, ma della sua cattiva
interpretazione, quali sono i buoni frutti della giusta interpretazione
del Concilio?
Non
voglio negare l’esistenza di tante cose buone nella Chiesa
contemporanea. Sono convinto anzi che, con l’aiuto della grazia, già si
vedano i germi di una rinascita. Ma mi si deve dimostrare che questi
frutti buoni e santi abbiano la loro radice nello spirito del Concilio,
e non piuttosto nella linfa della Tradizione, che preesisteva al
Concilio e che ancor oggi continua a scorrere nelle fibre del corpo
mistico di Cristo, alimentandolo e santificandolo.
Nel
XVI secolo alla rivoluzione antropologica degli umanisti e alla
pseudo-riforma dei protestanti si contrappose la vera Riforma
cattolica, o Contro-Riforma, che ebbe i suoi campioni in santi come
Filippo Neri, Gaetano di Thiene, Ignazio di Loyola, Pio V, e tantissimi
altri.
È
a questo spirito di riforma cattolica che dobbiamo rifarci, se non
vogliamo che con l’aiuto dei massmedia prevalga la pseudoriforma
propugnata oggi, come cinquant’anni addietro, dall’eretico Hans Küng.
L’ortodossia
e la santità non conoscono “vie medie”. O si interpreta il Vaticano II
alla luce di Trento e del Vaticano I o l’ultimo Concilio rischia di
divenire il metro di giudizio e di affossamento della Tradizione della
Chiesa.
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