Vaticano II. Un dibattito aperto di don Jean-Michel Gleize
(di Cristina Siccardi)
Ignorare i problemi, non significa risolverli; rimuoverli significa
dare ad essi la possibilità di svolgere la loro opera corrosiva e
distruttiva. Il Concilio Vaticano II è un problema, la cui risoluzione
continua ad essere posticipata, mentre la secolarizzazione ha trovato
sempre più terreno fertile, in ogni ambiente, sia laico che
ecclesiastico.
Lo spiega un chiaro e solido saggio di don Jean-Michel Gleize, Vaticano II. Un dibattito aperto. Questioni disputate sul XXI Concilio Ecumenico (Editrice Ichthys, 2013, pp. 225, € 20.00). L’autore, che dal 2009 al 2011 ha preso parte ai colloqui dottrinali con la Santa Sede richiesti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X da Benedetto XVI, nel suo studio affronta tre grandi tematiche e la loro indivisibile correlazione: la Tradizione, il Magistero, la Fede. La seconda parte è strutturata in forma di undici quaestiones disputatae, secondo la metodologia classica della Scolastica. Ciascuna questione si compone a sua volta di tre parti: l’elenco delle obiezioni; il principio di base della risposta; le risposte alle obiezioni.
Testi come Lumen gentium, dove viene presentata la Chiesa come «popolo di Dio», Nostra aetate sulle religioni non cristiane, Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa «conducono effettivamente e con ragione a domandarsi, come dice il cardinale Ratzinger, “se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se l’hanno cambiata con qualcos’altro senza dirlo alla gente”» (p. 7). A tutti sono evidenti i grandi cambiamenti (usi e costumi) avvenuti nella Chiesa, cambiamenti anche nella trasmissione della stessa dottrina da sempre insegnata dalla Sposa di Cristo, la quale è al servizio della Verità, dunque responsabile della salvezza di ognuno e delle genti verso le quali è tenuta ad essere missionaria, come insegnò il Salvatore agli Apostoli (Mc. 16,15-18).
Fra i XXI Concili della storia della Chiesa soltanto l’ultimo, il Vaticano II, non è dogmatico, ma pastorale e soltanto l’ultimo è stato indetto non per risolvere scottati questioni, ma per relazionarsi familiarmente con il mondo “moderno” di allora, un mondo entrato oggi nel “postmoderno” e in traumatica crisi religiosa, etica, sociale, politica, economica. «Il concilio di Nicea mise un termine a un disordine che si era già introdotto precedentemente nella Chiesa, e l’eresia ariana è progressivamente regredita fino a scomparire proprio grazie all’applicazione degli insegnamenti di quel Concilio. Dopo il Vaticano II, invece, si è costretti a constatare che le cose non sono andate così: che il disordine si sia introdotto nella Chiesa a partire dal Concilio è un fatto riconosciuto da tutti. A distanza di cinquant’anni, poi, il disordine è divenuto endemico e si è normalizzato. La causa è da ravvisare unicamente nel conflitto di due ermeneutiche opposte
(p. 6).
Fu proprio Benedetto XVI, nell’ ormai storico discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 a paragonare i 50 anni del post Concilio al periodo successivo al Concilio di Nicea (325), citando le parole di san Basilio Magno (329-379): «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa, falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede» (p. 5).
Sul soglio di san Pietro è mutato il Pontefice, ma i problemi sono rimasti gli stessi. Sarà la Divina Provvidenza, con gli uomini di buona volontà, a sciogliere i terribili nodi, Lei che «sa sempre e infallibilmente scrivere dritto sulle linee storte degli interventi umani nell’opera della redenzione» (p. 4). (Cristina Siccardi)
Lo spiega un chiaro e solido saggio di don Jean-Michel Gleize, Vaticano II. Un dibattito aperto. Questioni disputate sul XXI Concilio Ecumenico (Editrice Ichthys, 2013, pp. 225, € 20.00). L’autore, che dal 2009 al 2011 ha preso parte ai colloqui dottrinali con la Santa Sede richiesti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X da Benedetto XVI, nel suo studio affronta tre grandi tematiche e la loro indivisibile correlazione: la Tradizione, il Magistero, la Fede. La seconda parte è strutturata in forma di undici quaestiones disputatae, secondo la metodologia classica della Scolastica. Ciascuna questione si compone a sua volta di tre parti: l’elenco delle obiezioni; il principio di base della risposta; le risposte alle obiezioni.
Testi come Lumen gentium, dove viene presentata la Chiesa come «popolo di Dio», Nostra aetate sulle religioni non cristiane, Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa «conducono effettivamente e con ragione a domandarsi, come dice il cardinale Ratzinger, “se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se l’hanno cambiata con qualcos’altro senza dirlo alla gente”» (p. 7). A tutti sono evidenti i grandi cambiamenti (usi e costumi) avvenuti nella Chiesa, cambiamenti anche nella trasmissione della stessa dottrina da sempre insegnata dalla Sposa di Cristo, la quale è al servizio della Verità, dunque responsabile della salvezza di ognuno e delle genti verso le quali è tenuta ad essere missionaria, come insegnò il Salvatore agli Apostoli (Mc. 16,15-18).
Fra i XXI Concili della storia della Chiesa soltanto l’ultimo, il Vaticano II, non è dogmatico, ma pastorale e soltanto l’ultimo è stato indetto non per risolvere scottati questioni, ma per relazionarsi familiarmente con il mondo “moderno” di allora, un mondo entrato oggi nel “postmoderno” e in traumatica crisi religiosa, etica, sociale, politica, economica. «Il concilio di Nicea mise un termine a un disordine che si era già introdotto precedentemente nella Chiesa, e l’eresia ariana è progressivamente regredita fino a scomparire proprio grazie all’applicazione degli insegnamenti di quel Concilio. Dopo il Vaticano II, invece, si è costretti a constatare che le cose non sono andate così: che il disordine si sia introdotto nella Chiesa a partire dal Concilio è un fatto riconosciuto da tutti. A distanza di cinquant’anni, poi, il disordine è divenuto endemico e si è normalizzato. La causa è da ravvisare unicamente nel conflitto di due ermeneutiche opposte
(p. 6).
Fu proprio Benedetto XVI, nell’ ormai storico discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 a paragonare i 50 anni del post Concilio al periodo successivo al Concilio di Nicea (325), citando le parole di san Basilio Magno (329-379): «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa, falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede» (p. 5).
Sul soglio di san Pietro è mutato il Pontefice, ma i problemi sono rimasti gli stessi. Sarà la Divina Provvidenza, con gli uomini di buona volontà, a sciogliere i terribili nodi, Lei che «sa sempre e infallibilmente scrivere dritto sulle linee storte degli interventi umani nell’opera della redenzione» (p. 4). (Cristina Siccardi)
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