Benedictus XVI

Joseph Ratzinger

19.IV.2005

-

28.II.2013


Cardeal Joseph Ratzinger :“A verdade é que o próprio Concílio não definiu nenhum dogma e conscientemente quis expressar-se em um nível muito mais modesto, meramente como Concílio pastoral; entretanto, muitos o interpretam como se ele fosse o super dogma que tira a de todos os demais Concílios". (Cardeal Joseph Ratzinger, Alocução aos Bispos do Chile, em 13 de Julho de 1988, in Comunhão Libertação, Cl, año IV, Nº 24, 1988, p. 56).
Cardinal  Joseph  Ratzinger

FROM SELF-CRITICISM TO SELF-DESTRUCTION

"Certainly, the results [of Vatican II] seem cruelly opposed to the expectations of everyone, beginning with those of Pope John XXIII and then of Paul VI: expected was a new Catholic unity and instead we have been exposed to dissension which---to use the words of Paul VI---seems to have gone from self-criticism to self-destruction. Expected was a new enthusiasm, and many wound up discouraged and bored. Expected was a great step forward, and instead we find ourselves faced with a progressive process of decadence which has developed for the most part precisely under the sign of a calling back to the Council, and has therefore contributed to discrediting for many. The net result therefore seems negative. I am repeating here what I said ten years after the conclusion of the work: it is incontrovertible that this period has definitely been unfavorable for th Catholic Church."

L'Osservatore Romano (English edition),
24 December 1984

sexta-feira, 14 de junho de 2013

I frutti del Concilio Vaticano II di Roberto de Mattei


 
  A seguito di "Che cosa succede in Vaticano"

I frutti del
Concilio Vaticano II

di Roberto de Mattei
su Settimo Cielo del 11-06-2012
Il mio articolo “Che cosa succede in Vaticano” pubblicato on line su “Corrispondenza Romana” ha suscitato calorose adesioni ma anche, come è logico, aspri dissensi.
In quell’articolo sostenevo che la lotta per il potere in corso entro le mura leonine ha le sue radici anche in un certo spirito mondano che ha penetrato la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Precisavo che non bisogna confondere tra gli uomini di Chiesa, con le loro fragilità intellettuali e morali radicate nei tempi in cui vivono, e la Chiesa in sé, sempre pura e senza macchia di peccato o di errori.

Le obiezioni che mi sono state rivolte si riducono a due argomenti cui cercherò brevemente di rispondere.
Il primo argomento dice che nella sua storia bimillenaria la Chiesa ha spesso conosciuto momenti di difficoltà e di crisi che certamente non possono essere ricondotti al Concilio Vaticano II. Basti ricordare, ad esempio, la decadenza di costumi dei papi rinascimentali.
È facile ribattere però che anche quella decadenza morale aveva radici intellettuali, ben analizzate da Ludwig von Pastor nel primo volume della sua monumentale storia dei papi. Molti pontefici di quest’epoca voltarono le spalle alla integrale riforma della Chiesa a cui li sollecitavano santi come Bernardino da Siena e Antonino da Firenze, per abbracciare gli equivoci princìpi dell’umanesimo.
La prima “svolta antropologica” fu quella di Erasmo da Rotterdam e dei suoi seguaci e antecessori che, attraverso le armi della filologia, vollero liquidare il culto dei santi e delle reliquie, le indulgenze, l’ascesi monastica, le devozioni e le antiche tradizioni in genere, teorizzando l’introduzione del volgare nei libri e nelle cerimonie sacre.
L’opera omnia di Erasmo fu condannata dal nascente Sant’Uffizio, ma era già troppo tardi: Lutero facendo proprie le stesse critiche degli umanisti, aveva capovolto il loro antropocentrismo in un primato della Scrittura, che però faceva completamente a meno della istituzione della Chiesa.
Ciò che è importante sottolineare è che quando nella storia della Chiesa ci si trova di fronte ad una crisi morale, in qualsiasi epoca accada, bisogna sempre risalire alla crisi intellettuale che la accompagna o la precede.
In questo senso non si possono ignorare le conseguenze di quella vera e propria rivoluzione nel modo di essere della Chiesa che fu il Concilio Vaticano II, inteso come evento più che come magistero.
Qui si pone la seconda obiezione, secondo cui le cause della crisi attuale della Chiesa, che io farei indebitamente risalire al Vaticano II, vanno invece attribuite ad una falsa ed abusiva interpretazione di questo avvenimento e dei suoi documenti.
Ma la prima regola ermeneutica è quella che ci dà Nostro Signore stesso nel Vangelo, quando dice che l’albero sarà riconosciuto dai frutti (Mt 7, 17-20). Oggi i monasteri sono abbandonati, le vocazioni religiose crollano, la frequenza alla messa e ai sacramenti è caduta a picco; le librerie, le case editrici, i giornali e le università cattoliche diffondono errori a piene mani; il catechismo ortodosso non è più insegnato; i parroci e persino i vescovi si ribellano al Santo Padre; i fedeli cattolici di tutto il mondo sono immersi nella confusione religiosa e morale e lo stesso Benedetto XVI durante l’omelia di Pentecoste ha parlato della “Babele” in cui viviamo.
Se tutto questo non ha la sua causa in un certo “spirito del Concilio”, che ha pervaso la Chiesa cattolica negli ultimi cinquant’anni, da dove trae la sua origine?
E se questi sono i cattivi frutti non del Concilio, ma della sua cattiva interpretazione, quali sono i buoni frutti della giusta interpretazione del Concilio?
Non voglio negare l’esistenza di tante cose buone nella Chiesa contemporanea. Sono convinto anzi che, con l’aiuto della grazia, già si vedano i germi di una rinascita. Ma mi si deve dimostrare che questi frutti buoni e santi abbiano la loro radice nello spirito del Concilio, e non piuttosto nella linfa della Tradizione, che preesisteva al Concilio e che ancor oggi continua a scorrere nelle fibre del corpo mistico di Cristo, alimentandolo e santificandolo.
Nel XVI secolo alla rivoluzione antropologica degli umanisti e alla pseudo-riforma dei protestanti si contrappose la vera Riforma cattolica, o Contro-Riforma, che ebbe i suoi campioni in santi come Filippo Neri, Gaetano di Thiene, Ignazio di Loyola, Pio V, e tantissimi altri.
È a questo spirito di riforma cattolica che dobbiamo rifarci, se non vogliamo che con l’aiuto dei massmedia prevalga la pseudoriforma propugnata oggi, come cinquant’anni addietro, dall’eretico Hans Küng.
L’ortodossia e la santità non conoscono “vie medie”. O si interpreta il Vaticano II alla luce di Trento e del Vaticano I o l’ultimo Concilio rischia di divenire il metro di giudizio e di affossamento della Tradizione della Chiesa.
Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/i-frutti-del-concilio-vaticano-ii/

Una propuesta por los cincuenta años del Vaticano II LA VÍA SOBRENATURAL PARA RECOBRAR LA PAZ ENTRE EL PRE Y EL POST CONCILIO



http://www.enricomariaradaelli.it/aureadomus/img/enricomariaradaelli.jpg



por Enrico Maria Radaelli


La discusión que se está desarrollando en el sitio web de Sandro Magister entre escuelas de posiciones diferentes y opuestas sobre reconocer si el Concilio ecuménico Vaticano II representa continuidad o discontinuidad con la Tradición, aparte de llamarme a participar directamente desde los primeros movimientos, toca de cerca algunas páginas preliminares de mi reciente libro "La belleza que nos salva".

El hecho largamente más significativo del ensayo es la comprobada identificación de los "orígenes de la belleza" con las cuatro cualidades sustanciales - verdadero, uno, bueno, bello - que santo Tomás de Aquino afirma que son los nombres del Unigénito de Dios: identificación que debería aclarar de una vez por todas lo fundamental y el vínculo ya no más eludible que un concepto tiene con su expresión, es decir, el lenguaje con la doctrina que lo utiliza.

Me parece necesario intervenir y hacer algunas aclaraciones para quien quiere reconstruir la "Ciudad de la belleza" que es la Iglesia y retomar así el único camino (esta es la tesis de mi ensayo) que puede llevarnos a la felicidad eterna, es decir, que nos puede salvar.

Completaré mi intervención sugiriendo el pedido que ameritaría hacerse al Santo Padre para que - recordando con monseñor Brunero Gherardini que en el 2015 se cumplirá el aniversario cincuenta del Concilio (cfr. "Divinitas", 2011, 2, p. 188) - la Iglesia toda aproveche de tal extraordinario acontecimiento para restablecer la plenitud de aquel "munus docendi", de aquel magisterio, suspendido hace cincuenta años.

Respecto al tema en discusión, la cuestión ha sido bien resumida por el teólogo dominico Giovanni Cavalcoli: "El nodo del debate es este: estamos todos de acuerdo en que las doctrinas ya definidas [por el magisterio dogmático de la Iglesia anterior al Concilio], presentes en los textos conciliares son infalibles; lo que está en discusión es si son infalibles también los desarrollos doctrinales, la novedad del Concilio".

El dominico se da cuente que la necesidad es la de "responder afirmativamente a esta pregunta, porque de otro modo ¿que sería de la continuidad, al menos así como la entiende el Papa?" Y no pudiendo hacer, como es obvio, las afirmaciones que también quisiera hacer, el padre Cavalcoli les da la vuelta en las preguntas contrarias, a las que aquí daré la respuesta que tendrían si se siguiese la lógica "aletica", verificadora, que nos enseña la filosofía.


Primera pregunta: ¿Es admisible que el desarrollo de una doctrina de fe, o cercana a la fe, ya definida, sea falso?


Estimado padre Cavalcoli, usted, a decir verdad, habría querido decir: "No es admisible que el desarrollo de una doctrina de fe, o próxima a la fe, ya definida, sea falso". En cambio la respuesta es: sí, el desarrollo puede ser falso, porque una premisa verdadera no lleva necesariamente a una conclusión verdadera, sino que puede llevar también a una o más conclusiones falsas, tanto es así que en todos los Concilios del mundo - incluso en los dogmáticos - se puso en debate las posiciones más diferentes precisamente a causa de esa posibilidad. Para tener el esperado desarrollo de continuidad de las verdades reveladas por gracia no basta con ser teólogos, obispos, cardenales o Papas, sino que es necesario solicitar la asistencia especial, divina, dada por el Espíritu Santo sólo a aquellos Concilios que - declarados de carácter dogmático de manera solemne e indiscutible al momento de su apertura - se les ha garantizado formalmente esa asistencia divina. En tales casos sobrenaturales ocurre que el desarrollo dado a la doctrina sobrenatural resultará garantizado como verdadero en tanto cuanto ya han sido divinamente garantizadas sus premisas como verdaderas.

Eso no ocurrió en el último Concilio, declarado formalmente de carácter exquisitamente pastoral al menos tres veces: en su apertura, que es la que cuenta, luego en la apertura de la segunda sesión y por último en la clausura; y por ello en esa asamblea de premisas verdaderas se ha podido llegar a veces también a conclusiones al menos opinables (a conclusiones que, hablando canónicamente, entran en el tercer grado de constricción magisterial, lo que tratando de temas de carácter moral, pastoral o jurídico, requiere únicamente "religioso respeto") si no "incluso equivocadas", como reconoce también el padre Cavalcoli contradiciendo la tesis que sostiene, "e igual no infalibles", y que pues "pueden ser también modificadas", y por eso, aunque desgraciadamente no vinculan formalmente sino "sólo" moralmente al pastor que las enseña incluso en los casos de incierta factura, providencialmente no son para nada vinculantes obligatoriamente a la obediencia de la fe.

Por otra parte, si a grados diferentes de magisterio no se les corresponde grados diferentes de asentimiento del fiel, no se entiende para qué hay diferentes grados de magisterio. Los grados diferentes de magisterio se deben a grados diferentes de proximidad de conocimiento que ellos tienen con la realidad primera, con la realidad divina revelada a la que se refieren, y es obvio que las doctrinas reveladas directamente por Dios pretenden un respeto totalmente obligante (grado I), así como las doctrinas relacionadas a ellas, si es que son presentadas a través de definiciones dogmáticas o actos definitivos (grado II). Tanto la primera como la segunda se distinguen de la otras doctrinas que, no pudiendo pertenecer al primer grupo, podrán ser consideradas en el segundo sólo en el momento que se haya esclarecido con argumentos múltiples, prudentes, claros e irrefutables, su conexión íntima, directa y evidente con ello en el respeto más pleno del principio de Vincenzo di Lérins ("quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est"), garantizando así al fiel que esas también se encuentran ante el conocimiento más próximo de Dios. Todo ello, como se pude entender, se puede obtener solamente en el ejercicio más conciente, querido e implorado por la y para la Iglesia del "munus", del magisterio dogmático.

La diferencia entre las doctrinas de I y II grado y las de III viene dada por el carácter ciertamente sobrenatural de las primeras, que en cambio en el tercer grupo no está garantizado: quizá exista, pero quizá no. Lo que se debe acoger es que el "munus" dogmático es: 1) un don divino, pues 2) un don que pedir expresamente y 3) no pedir este don no ofrece pues alguna garantía de verdad absoluta, falta de garantía que libra al magisterio de toda obligación de exactitud y a los fieles de toda obligación de obediencia, aunque requiera su religioso respeto. En el grado III podría encontrarse indicaciones y conjeturas de matriz naturalista, y el cernidor para verificar si, una vez depuradas de tales eventuales infestaciones incluso microbianas, es posible elevarlas al grado sobrenatural puede cumplirse sólo confrontándolas con el fuego dogmático: la paja se quemará pero el fierro divino, si hay, brillará ciertamente en todo su fulgor.

Es eso lo que le sucedió a la doctrina de la Inmaculada Concepción y de la Asunción, hoy dogmas, es decir, artículos de fe pertenecientes hoy por derecho al segundo grupo. Hasta 1854 y 1950 respectivamente estas pertenecieron al grupo de las doctrinas opinables, al tercero, a las cuales se debía nada más que "religioso respeto", a la par de aquellas doctrinas nuevas que, enlistadas aquí más adelante en un breve y resumido inventario, se reunieron confusamente en las más recientes enseñanzas de la Iglesia de 1962. Pero en 1854 y 1950 el fuego del dogma las rodeó de su divina y peculiar marca, las encendió, las cribó, las imprimió y finalmente las selló eternamente como "ab initio" ya eran en su más íntima realidad: verdades muy ciertas y universalmente comprobadas, de derecho pertenecientes a la matriz sobrenatural (el segundo) aunque hasta entonces no formalmente reconocidas bajo tal esplendida vestidura. Feliz reconocimiento, y aquí se quiere precisamente subrayan que fue un reconocimiento de los presentes, del Papa en primer lugar, y de ninguna manera una transformación del sujeto: como cuando los críticos de arte, después de haberla examinado bajo todo punto de vista e indicios útiles para valorarla o desmentirla - certificados de providencia, de pasajes de propiedad, pruebas de pigmentación, de velamiento, de retoques, radiografías y reflectografías - reconocen en un cuadro de autor su más indiscutible y palmaria autenticidad.

Esas dos doctrinas se revelaron ambas de factura divina, y de la más preciada. Si alguna pues de aquellas más recientes es de la misma altísima mano se descubrirá pacíficamente con el más espléndido de los medios.


Segunda pregunta: ¿Puede el nuevo campo dogmático estar en contradicción con el antiguo?


Obviamente no, no puede de ningún modo. En efecto, después del Vaticano II no tenemos algún "nuevo campo dogmático", como se expresa el padre Cavalcoli, a pesar de que muchos quieren hacer pasar por tal las novedades conciliares y postconciliares, aunque el Vaticano II sea un simple - si bien solemne y extraordinario - "campo pastoral". Ninguno de los documentos citados por el padre Basil Valuet en su nota 5 declara una autoridad del Concilio mayor que aquella de la que este fue investido desde el inicio: nada más que una solemne y universal, es decir, ecuménica, reunión "pastoral" con la intención de dar al mundo algunas indicaciones sólo pastorales, negándose declaradamente y patentemente definir dogmáticamente o sancionar con anatema alguna cosa.

Todos los neomodernistas de prestigio o simplemente noveles que se quiera decir (como subraya el profesor Roberto de Mattei en su libro "El concilio Vaticano II. Una historia jamás escrita") que fueron activos en la Iglesia desde los tiempo de Pío XII - teólogos, obispos y cardenales de la "théologie nouvelle" como Bea, Câmara, Carlo Colombo, Congar, De Lubac, Döpfner, Frings con su perito, Ratzinger; König con el suyo, Küng; Garrone con el suyo, Daniélou; Lercaro, Maximos IV, Montini, Suenens, y, casi un grupo aparte, los tres sobresalientes de la llamada escuela de Bolonia: Dossetti, Alberigo y hoy Melloni – en el desarrollo del Vaticano II y después han cabalgado con toda suerte de expedientes de ruptura con las detestadas doctrinas anteriores sobre el mismo presupuesto, errando sobre la indudable solemnidad de la extraordinaria reunión; por lo que se tiene que todos estos realizaron de hecho una ruptura y discontinuidad proclamando con las palabras solidez y continuidad. Que haya después de parte de ellos, y luego universalmente hoy, deseos de ruptura con la Tradición se puede notar al menos: 1) en la más destructiva masacre perpetrada a la magnificencia de los altares antiguos; 2) en el igualmente universal rechazo de hoy en día de todos los obispos del mundo excepto poquísimos, a dar el mínimo espacio al rito tridentino o gregoriano de la misa, en irrazonable y ostentosa desobediencia a las directivas del motu proprio "Summorum Pontificum". "Lex orandi, lex credendi": si todo es no es rechazo de la Tradición, entonces ¿qué cosa es?

A pesar de ello, y la gravedad de todo ello, no se puede todavía hablar de ningún modo de ruptura: la Iglesia está "todos los días" bajo la divina garantía dada por Cristo en el juramento de Mt 16,18 ("Portæ inferi non prævalebunt") y de Mt 28,20 ("Ego vobiscum sum omnibus diebus") lo que la pone metafísicamente al recaudo de cualquier temor en ese sentido, aunque el peligro está siempre a las puertas y frecuentemente los intentos están en acto. Pero quien sostiene una ruptura ya ocurrida - como hacen algunas de las eminencias antes mencionadas, pero también los sedevacantistas - cae en el naturalismo.

Pero no se puede hablar tampoco de solidez, es decir de continuidad con la Tradición, porque está ante los ojos de todos que las más diferentes doctrinas salidas del Concilio y del postconcilio - eclesiología; panecumenismo; relación con las otras religiones; mismidad del Dios adorado por los cristianos, judíos y musulmanes; correcciones de la "doctrina de la sustitución" de la Sinagoga con la Iglesia en "doctrina de las dos salvaciones paralelas"; unicidad de las fuentes de la Revelación; libertad religiosa; antropología antropocéntrica en vez que teocéntrica; iconoclastía; o aquella de la cual nació el "Novus Ordo Missae" en lugar del rito gregoriano (hoy recogido junto al primero, pero subordinadamente) - son todas las doctrinas que una por una no resistirían la prueba de fuego del dogma, si se tuviese el coraje de intentar dogmatizarlas: fuego que consiste en darles sustancia teológica con solicitud precisa de asistencia del Espíritu Santo, como ocurrió a su tiempo en el "corpus theologicum" puesto en la base de la Inmaculada Concepción o de la Asunción de María.

Esas frágiles doctrinas están vivas únicamente por el hecho de que no hay ninguna barrera dogmática levantada para no permitir su concepción y uso. Pero luego se impone una no auténtica continuidad con el dogma para pretender para aquellas el asentimiento de fe necesario para la unidad y para la continuidad (cfr. las pp. 70ss, 205 y 284 del mi ya mencionado libro "La belleza que nos salva"), quedando así todas ellas en peligroso y "frágil límite entre continuidad y discontinuidad" (p. 49), pero siempre más acá del límite dogmático, que de hecho, si se aplica, determinaría el fin de las mismas. También la afirmación de continuidad entre esas doctrinas y la Tradición peca en mi opinión de naturalismo.


Tercera pregunta: ¿Si negamos la infalibilidad de los desarrollos doctrinales del Concilio que parten de previas doctrinas de fe o próximas a la fe, no debilitamos la fuerza de la tesis continuista?


Cierto que la debilita, estimado padre Cavalcoli, más aún: la anula. Y da fuerza a la tesis opuesta, como es justo que sea, que sostiene que no hay continuidad.

Nada de ruptura, sino también nada de continuidad. ¿Y entonces qué? La vía de salida la sugiere Romano Amerio (1905-1997) con la que el autor de "Iota unum" define "la ley de la conservación histórica de la Iglesia", retomada en la p. 41 de mi ensayo, por la cual "la Iglesia no se pierde en el caso de que no 'empate' la verdad, sino en el caso de que 'pierda' la verdad". ¿Y cuando la Iglesia no 'empata' la verdad? Cuando sus enseñanzas la olvidan, o la confunden, la enturbian, la mezclan, como ha ocurrido (no es la primera vez y no será la última) desde el Concilio hasta hoy. ¿Y cuando 'perdería' la verdad? (En condicional: si está visto que no puede de ningún modo perderla). Sólo si la golpease de anatema, o si viceversa dogmatizase una doctrina falsa, cosa que podría hacer el Papa y sólo el Papa, si (en la metafísicamente imposible hipótesis que) sus labios dogmatizantes y anatemizantes no estuvieran sobrenaturalmente atados por los dos arriba mencionados juramentos de Nuestro Señor. Insistiría en este punto, que me parece decisivo.

Aquí se adelantan unas hipótesis, pero - como digo en mi libro (p. 55) - "dejando a la competencia de los pastores toda verificación de la cosa y toda ulterior consecuencia, por ejemplo de si y de quién eventualmente, y en qué medida, haya incurrido o incurra" en los actos configurados. En las primerísimas páginas evidencio en especial cómo no se puede levantar represas al río de una belleza salvadora si no es vaciando la mente de toda equivocación, error o malentendido: la belleza se acompaña únicamente de la verdad (p. 23), y volver a hacer lo bello en el arte, al menos en el arte sacra, no se logra si no es trabajando en lo verdadero de la enseñanza y del acto litúrgico.

Lo que a mi parecer se está perpetrando en la Iglesia desde hace cincuenta años es una rebuscada amalgama entre continuidad y ruptura. Es el estudiado gobierno de las ideas y de las intenciones espurias en el cual se ha cambiado la Iglesia sin cambiarla, bajo la cubierta (también ilustrada nítidamente por monseñor Gherardini en sus más recientes libros) de un magisterio intencionalmente suspendido - a partir del discurso de apertura del Concilio "Gaudet mater ecclesia" - en una del todo innatural y del todo inventada forma suya, llamada, con rebuscada imprecisión teológica, "pastoral". Si la Iglesia es vaciada de las doctrinas poco o nada adecuadas al ecumenismo y por ello despreciadas por aquellos más prestigiosos mencionados más arriba y se le ha rellenado de las ideas ecuménicas de aquellos mismos, y eso se ha hecho sin tocar para nada las cubiertas metafísicas, por naturaleza suya dogmáticas (cfr. p. 62), es decir, por naturaleza sobrenatural, sino trabajando únicamente en aquel campo de su magisterio que infiere únicamente sobre su "conservación histórica".

En otras palabras: no hay ruptura formal, ni por lo demás formal continuidad, únicamente porque los Papas de los últimos cincuenta años se niegan ratificar en la forma dogmática de II nivel las doctrinas de III que bajo su gobierno están devastando y vaciando la Iglesia (cfr. p. 285). Eso quiere decir que de esa manera la Iglesia no empata más la verdad, sino que ni siquiera la pierde, porque los Papas, incluso con ocasión del Concilio, formalmente se han negado a dogmatizar las nuevas doctrinas y a declarar anatema a las más desestimadas (o correctas o engañosas) doctrinas del periodo anterior.

Como se ve, se podría también considerar que esa muy incómoda situación configuraría un pecado del magisterio, y grave, contra la fe así como contra la caridad (p. 54): en efecto, no parece que se pueda desobedecer al mandamiento del Señor de enseñar a las gentes (cfr. Mt 28, 19-20) con toda la plenitud del don de conocimiento que se nos ha alcanzado, sin con ello "desviar de la rectitud que el acto - es decir, 'la enseñanza educativa en la verdadera doctrina' - debe tener" (Summa Theologiae I, 25, 3, ad 2). Pecado contra la fe porque se la pone en peligro, y efectivamente la Iglesia en los últimos cincuenta años, vaciada de doctrinas verdaderas, se ha vaciado de fieles, de religiosos y de sacerdotes, convirtiéndose en la sobra de si misma (p. 76). Pecado contra la caridad porque se priva a los fieles de la belleza de la enseñanza magisterial y visible del cual sólo la verdad resplandece, como lo ilustro en todo el segundo capítulo de mi libro. El pecado sería de omisión: sería el pecado de "omisión de la dogmaticidad propia de la Iglesia" (pp. 60ss), con la que la Iglesia intencionalmente no sellaría sobrenaturalmente y así no garantizaría las indicaciones sobre la vida que nos da.

Este estado de pecado en el que se estaría derramando la santa Iglesia (se entiende siempre: de algunos hombres de la santa Iglesia, o sea la Iglesia en su componente histórica), si se encuentra, debería ser quitado y también lavado penitencialmente lo más pronto, ya que, como el cardenal José Rosalio Castillo Lara escribía al cardenal Joseph Ratzinger en 1988, su actual obstinado y culpable mantenimiento "favorecería la muy condenable tendencia […] a un equívoco gobierno llamado 'pastoral', que en el fondo no es pastoral, porque lleva a descuidar el debido ejercicio de la autoridad con daño al bien común de los fieles" (pp. 67s).

Para restituir a la Iglesia la paridad con la verdad, como le fue restituida cada vez que se encontró en travesías dramáticas similares, no hay otra vía que regresar a la plenitud de su "munus docendi", haciendo pasar por la criba del dogma a 360 grados todas las falsas doctrinas de las que está empapado, y retomar como "habitus" de su enseñanza más ordinaria y pastoral (en el sentido riguroso del término: transferencia de la divina Palabra en la diócesis y en las parroquias de todo el mundo") la actitud dogmática que la ha conducido sobrenaturalmente hasta aquí en los siglos.

Retomando la plenitud magisterial suspendida se restituiría a la Iglesia histórica la esencia metafísica que virtualmente se le ha sustraído, y con ello se haría volver sobre la tierra su belleza divina en toda su más reconocida y degustada fragancia.


Para concluir, una propuesta


Se requiere audacia. Y se requiere Tradición. En vista del cumplimiento el 2015, cincuenta aniversario del Concilio de la discordia, sería necesario poder promover un fuerte y largo pedido al Trono más alto de la Iglesia para qué, en su benignidad, sin perder la ocasión de verdad especial de tal excepcional cumplimiento, considere que hay un único acto que puede devolver paz entre la enseñanza y la doctrina emanadas de la Iglesia antes y después de la fatal asamblea, y este único, heroico, muy humilde acto es el de acercar al sobrenatural fuego del dogma las doctrinas arriba señaladas antipáticas a los fieles de parte tradicionalista, y las contrarias: lo que debe arder arderá, lo que debe resplandecer resplandecerá. De aquí al 2015 tenemos delante tres años abundantes. Es necesario utilizarlos de la mejor manera. Las oraciones y las inteligencias deben ser llevadas a la presión máxima: fuego al calor blanco. Sin tensión no se obtiene nada, como a Laodicea.

Este acto que aquí se propone cumplir, el único que podría volver a reunir en un único cuerpo, como debe ser, las dos potentes almas que palpitan en la santa Iglesia en el mismo ser, reconocibles la una en los hombres "fieles especialmente a lo que la Iglesia es", la otra en los hombres cuyo espíritu tiende más a su mañana, es el acto que, poniendo fin con bella decisión a una cincuentenaria situación más bien anticaritativa y suficientemente insincera, resume en un gobierno sobrenatural los santos conceptos de Tradición y audacia. Para reconstruir la Iglesia y retornar a hacer belleza, el Vaticano II debe ser leído en el entramado de la Tradición con la audacia encendida del dogma.

Pues todos los tradicionalistas de la Iglesia, en todo orden y grado como en todo particular corte ideológico que pertenezcan, sepan congregarse en una única solicitud, en un único proyecto: llegar al 2015 con la más amplia, aconsejada y bien delineada invitación con el fin de que tal conmemoración sea para el Trono más alto la ocasión más propia para retomar el divino "munus docendi" a plenitud.

__________


El libro de Enrico Maria Radaelli "La belleza que nos salva" (prefacio de Antonio Livi, 2011, pp. 336, euro 35,00) puede ser solicitado directamente al autor (enricomaria.radaelli@tin.it) o a la Libreria Hoepli de Milán (www.hoepli.it).

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SSPX answers Roman expert
L’Osservatore Romano of December 2, 2011, published a study by Msgr. Fernando Ocariz, one of the four experts who represented the Holy See during the recent doctrinal discussions with the SSPX October 2009-April 2011). The central question of the magisterial value of the Second Vatican Council is addressed straightforwardly, yet nevertheless insufficiently... 1-31-2012
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A translation of an insightful article by Msgr. Gherardini which provides an answer to Msgr. Ocariz's recent published defense of Vatican II. The article causes one to ask: If the Second Vatican Council is part of the Magisterium what adherence must be given to its text? 12-12-2011
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"But there cannot be, nor could there be, a pre-Conciliar Church and a post-Conciliar Church! If this could be so, the second one—ours—would be historically and theologically illegitimate!" 11-10-2011
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It is rather encouraging to witness the controversy over the conciliar era broaden its front and coming from Rome. Fireworks are already sending sparks from all sides, on the eve of the golden jubilee of the opening of the Council... 10-28-2011

Fissures in the impregnable walls of Vatican II: a petition to the pope
An SSPX.ORG commentary and some extracts about DICI's posting, "50 Catholic leaders petition Pope Benedict XVI for a more in-depth examination of the Second Vatican Council" 10-14-2011
http://www.sspx.org/articles_index.htm
50 Catholic leaders petition Pope Benedict XVI for a more in-depth examination of the Second Vatican Council"In our souls and consciences as believers, this petition, written with all deference toward You, seems perfectly in harmony, we dare say, with the work of restoring, renewing and purifying the Church Militant that Your Holiness has courageously undertaken, despite resistance and difficulties of all sorts that are known to everyone..." 10-14-2011
The Second Ecumenical Vatican Council: a Debate That Has Not Taken Place, by Msgr. Brunero GherardiniThis book is a sequel to The Second Ecumenical Vatican Council: a Debate To Be Opened, that appeared in 2009. In this new work, Msgr. Gherardini does not stop at deploring that the debate on Vatican II shouldn't take place, he even shows why it would be more indispensable than ever today. And above all, he indicates how this debate could be opened, giving the reader the first elements of a rigorous analysis, far from sterile invectives and blind ovations... 9-19-2011
Vatican II: a debate between Romano Amerio, Msgr. Gherardini and Msgr. Pozzo
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Two Key Points for the Church's Recovery
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Covers the two opposing views of the Council. Includes the article "The Erosion of the Council's Authority"

Collegiality
Fr. Basil Wrighton explains this keynote error of Vatican II and the liberal machinations that caused its adoption by Vatican II

Reply of Archbishop Lefebvre to Cardinal Ottaviani after the CouncilWritten in December 1966, nearly a year after the conclusion of Vatican II, Archbishop Lefebvre details the confusion already occurring in missionary Africa amongst the Holy Ghost Fathers
Archbishop Lefebvre Preparing the Council (1959 - 1962)
A brief story on Archbishop Lefebvre's participation in preparing for Vatican II

The Role of the Priestly SSPX in the Heart of the Church
This 1981 Buenos Aires, Argentina conference by Archbishop Lefebvre shows the SSPX's place in the Church to form priests and in combating Modernism. He also speaks about the struggles of th

Vaticano II. Un dibattito aperto di don Jean-Michel Gleize

Vaticano II. Un dibattito aperto di don Jean-Michel Gleize

Don-Jean-Michel-Gleize-Vaticano-II.-Un-dibattito-aperto(di Cristina Siccardi) Ignorare i problemi, non significa risolverli; rimuoverli significa dare ad essi la possibilità di svolgere la loro opera corrosiva e distruttiva. Il Concilio Vaticano II è un problema, la cui risoluzione continua ad essere posticipata, mentre la secolarizzazione ha trovato sempre più terreno fertile, in ogni ambiente, sia laico che ecclesiastico.
Lo spiega un chiaro e solido saggio di don Jean-Michel Gleize, Vaticano II. Un dibattito aperto. Questioni disputate sul XXI Concilio Ecumenico (Editrice Ichthys, 2013, pp. 225, € 20.00). L’autore, che dal 2009 al 2011 ha preso parte ai colloqui dottrinali con la Santa Sede richiesti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X da Benedetto XVI, nel suo studio affronta tre grandi tematiche e la loro indivisibile correlazione: la Tradizione, il Magistero, la Fede. La seconda parte è strutturata in forma di undici quaestiones disputatae, secondo la metodologia classica della Scolastica. Ciascuna questione si compone a sua volta di tre parti: l’elenco delle obiezioni; il principio di base della risposta; le risposte alle obiezioni.
Testi come Lumen gentium, dove viene presentata la Chiesa come «popolo di Dio», Nostra aetate sulle religioni non cristiane, Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa «conducono effettivamente e con ragione a domandarsi, come dice il cardinale Ratzinger, “se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se l’hanno cambiata con qualcos’altro senza dirlo alla gente» (p. 7). A tutti sono evidenti i grandi cambiamenti (usi e costumi) avvenuti nella Chiesa, cambiamenti anche nella trasmissione della stessa dottrina da sempre insegnata dalla Sposa di Cristo, la quale è al servizio della Verità, dunque responsabile della salvezza di ognuno e delle genti verso le quali è tenuta ad essere missionaria, come insegnò il Salvatore agli Apostoli (Mc. 16,15-18).
Fra i XXI Concili della storia della Chiesa soltanto l’ultimo, il Vaticano II, non è dogmatico, ma pastorale e soltanto l’ultimo è stato indetto non per risolvere scottati questioni, ma per relazionarsi familiarmente con il mondo “moderno” di allora, un mondo entrato oggi nel “postmoderno” e in traumatica crisi religiosa, etica, sociale, politica, economica. «Il concilio di Nicea mise un termine a un disordine che si era già introdotto precedentemente nella Chiesa, e l’eresia ariana è progressivamente regredita fino a scomparire proprio grazie all’applicazione degli insegnamenti di quel Concilio. Dopo il Vaticano II, invece, si è costretti a constatare che le cose non sono andate così: che il disordine si sia introdotto nella Chiesa a partire dal Concilio è un fatto riconosciuto da tutti. A distanza di cinquant’anni, poi, il disordine è divenuto endemico e si è normalizzato. La causa è da ravvisare unicamente nel conflitto di due ermeneutiche opposte
  (p. 6).
Fu proprio Benedetto XVI, nell’ ormai storico discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 a paragonare i 50 anni del post Concilio al periodo successivo al Concilio di Nicea (325), citando le parole di san Basilio Magno (329-379): «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa, falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede» (p. 5).
Sul soglio di san Pietro è mutato il Pontefice, ma i problemi sono rimasti gli stessi. Sarà la Divina Provvidenza, con gli uomini di buona volontà, a sciogliere i terribili nodi, Lei che «sa sempre e infallibilmente scrivere dritto sulle linee storte degli interventi umani nell’opera della redenzione» (p. 4). (Cristina Siccardi)